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Educare allo sbaglio ovvero “sbagliando si impara”

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Nessun bambino ha mai imparato a camminare senza cadere. La caduta è prova che il bambino sta imparando a camminare. Poi accade qualcosa… Accade che da quel momento in poi gli errori e le cadute sono interpretati come prova che il bambino NON sta imparando! Ed inizia la paura di sbagliare, la demotivazione, la bassa autostima, il rifiuto dello studio ecc. Ecco, dovremmo capire cosa accade in quel preciso momento in cui l’errore, da momento di crescita, diventa prova di incapacità e colpa.
Se il modo in cui ogni essere umano approccia all’errore è determinante per la sua capacità di apprendere, significa che abituare un bambino a vedere nel fallimento una possibilità di crescita, piuttosto che una semplice mortificazione, è fondamentale per il suo futuro. Lodarne l’impegno è, invece, un’azione utile a fargli sviluppare una mentalità aperta, capace di accogliere ed affrontare le sfide.C’è di più: vedere l’errore come un fallimento ci fa imparare effettivamente di meno da quest’esperienza e corriamo un rischio più alto di ricadere nello stesso errore in futuro. Se gli individui, sin da piccoli, non imparano a vedere nell’errore e nella difficoltà un’opportunità di crescita o, ancor peggio, evitano del tutto il problema, la loro mente non rimetterà mai in discussione i suoi modelli, la loro capacità di apprendere sarà penalizzata fortemente e diminuiranno numericamente anche le esperienze concrete dalle quali imparare.
Il bambino deve imparare attraverso l’errore a infilarsi una scarpa, a scrivere il proprio nome, a comprendere le tabelline. Solo così può crescere. ce anche il latino “errare si
“Sbagliando s’impara” che bel concetto! E quanta pedagogia in esso.
Il detto “sbagliando s’impara” è una delle più grandi verità! L’errore deve essere lodato, non punito! L’errore deve essere commesso, non soffocato!
Cos’è l’errore? Un monito che blocca bambini e bambine dal fare e provare, ma non solo loro… anche gli adulti, e non solo i più esitanti, si trovano impacciati, talvolta anche nelle relazioni sociali o lavorative, a causa della “paura di sbagliare”.
L’errore è oggi visto come una “macchia nera” sul nostro curriculum e nemmeno il latino (lingua caratterizzata da una certa saggezza dovuta alla sua storicità) con il suo “errare humanum est”, cioè “commettere errori è umano”, perché in effetti si apprende solo attraverso l’esperienza, riesce a venirci in soccorso.
L’uomo è atto al fare, e solo grazie a prove ed errori è giunto a grandi scoperte, che siano esse mediche, scientifiche e quant’altro. Ora però, ciò che stiamo vivendo, è un’inversione di tendenza: meglio non fare per non rischiare di sbagliare. I primi a dover sottostare a questo nuovo pensiero sono i più piccoli, che non devono “giocare con/ giocare a” se il rischio può essere quello di sporcarsi, ma anche di provocare un “danno” (seppur minimo) a sé o ad altri. Rifletto su quegli episodi nei quali, un bimbo o una bimba che stanno provando qualcosa di nuovo – salire sullo scivolo più grande, infilare da soli le scarpe, stare senza pannolino – invece di essere sostenuti attraverso parole o sguardi, vengono “bloccati” o affiancati con parole tutt’altro che incoraggianti, “è troppo grande per te, le indossi al contrario, sicuramente ti bagnerai”, e che poco ammettono replica. Cogliamo immediatamente come, attraverso questi “avvertimenti”, sia difficile spronare l’altro a provare, magari rischiando d’imparare, e questo ancor di più se a un eventuale insuccesso segue la frase “te lo avevo detto”. Come ci siamo detti spesso, nel linguaggio, nelle parole che usiamo, sta gran parte del nostro insegnamento. Pertanto se decidessimo di provare ad affiancare con semplici consigli o incoraggianti strategie, ad esempio dicendo: “attaccati bene alla spalliera per salire/scendere”, “ricorda che lo strap deve stare all’esterno” (pensando alle scarpine) e ancora “ci ricordiamo insieme che il pannolino non lo hai?”, rovesceremo la situazione facendo capire all’altro come non sia solo a provare per crescere, e come sappiamo che in due si è più forti. Poi così potremmo festeggiare insieme un nuovo piccolo successo o riprovare con tenacia e senza scoramenti, perché a quel gioco stiamo partecipando in due.
Perché è importante porsi in questo modo, in particolare nei primi anni di vita? Ad esempio perché il fatto che apprendere a leggere, scrivere e far di conto siano abilità che non si imparano al primo tentativo è cosa da sapere, e magari con largo anticipo sul momento in cui la performance sarà valutata. Se so che generalmente per riuscire mi sono necessarie diverse prove, che potrebbero anche essere fallimentari, non mi scoraggerò alla prima, poiché la percepirò semplicemente come esercizio necessario. In caso contrario penserò di non essere capace, soprattutto se mi è richiesta costantemente una performance perfetta al primo tentativo. E andando avanti nella scuola, penso ad esempio alla matematica, ripartire dai propri errori, anche solo per utilizzarli come promemoria “su quel passaggio che ricordo che così è sbagliato”, può rivelarsi una strategia. Inoltre, a scuola, a bambini e bambine è richiesta una certa autonomia, non ci saranno mamma o papà a fare al posto loro e l’obiettivo della riuscita che si prefigge l’insegnante non si limita ad un lavoro eseguito, ma mira alla comprensione di quanto fatto.
Allora ci troviamo con bambini/e timorosi, che non vogliono salutare, provare a chiedere un’informazione, iniziare una nuova attività. Perché in ogni cosa si potrebbe “sbagliare”
Sempre attraverso le parole diremo al bambino che quel che ha fatto può essere “sbagliato”, la sua azione, e che non è certo LUI ad essere “sbagliato”.
Allora possiamo stimolare i nostri figli a porsi questa domanda: “cosa ho imparato dall’errore?” o meglio: “l’errore che mi ha insegnato di più questa settimana è stato …”. non sarebbe male porre questa domanda ai bambini al termine di una settimana, sarebbe una bella riflessione. E darebbe la giusta dignità all’errore.
Se poi questa domanda se la ponessero anche gli adulti, sarebbe il massimo!
A questo punto decidiamo di girare la pagina e, iniziando magari da una cosa piccola, proviamo a sbagliare.



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